Oscar Niemeyer. La vita è un soffio

“Non è l’angolo retto, che mi attira, né la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Mi attira la curva libera e sensuale, la curva che trovo nelle montagne del mio Paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nell’onda del mare, nel corpo della donna preferita. Di curve è fatto tutto l’universo.” (Oscar Niemeyer)

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Il 15 dicembre 1907 nasceva a Rio de Janeiro uno dei più grandi architetti di tutti i tempi: Oscar Niemeyer, che oggi avrebbe compiuto 105 anni, se non fosse venuto a mancare ad un passo dall’incredibile traguardo. Chissà se questa volta avrebbe celebrato l’evento, se è vero che alla soglia dei 100 anni, nel ricevere la Legion d’Onore dal governo francese, già dichiarò: “Festeggiare il centenario è una sciocchezza. Compiere cent’anni non significa niente, già dai 70 in poi cominciamo a dar addio agli amici, alle donne, a tutte le cose che valgono veramente nella vita. Quello che vale è la vita intera, ogni minuto.” Ad una settimana dalla sua morte già tutti i blog ed i giornali ne hanno ricordato l’incredibile figura, il talento straordinario, l’impegno politico e sociale e la fede comunista, che fece dire una volta a Fidel Castro: “ormai siamo rimasti solo noi due“. Eppure, dopo essere diventato una delle figure più importanti di sempre nel suo paese ed uno dei più grandi nomi dell’architettura di tutti i tempi, dopo aver vissuto una vita lunghissima ed esemplare, Niemeyer ancora riflettendo sulla sua esistenza la considerava un’inezia. “A vida e um sopro“, “La vita è un soffio” disse. Cento anni o un istante non cambiano la natura transitoria delle cose. Questo mondo che dobbiamo cambiare difficilmente ci darà l’occasione per farlo. La vita è un soffio. Il tempo non ci basterà mai.

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Tra tutte le sue opere, la più significativa ed incredibile è sicuramente la progettazione e la realizzazione di un’intera città: Brasilia, la nuova capitale che avrebbe dovuto dare slancio e vitalità all’intero paese, proiettandolo in un futuro più luminoso. Brasilia fu realizzata in 4 anni da Niemeyer e dall’amico Lucio Costa, che condivisero il proposito di creare da “una regione triste, vuota e senza rilievi“, qualcosa che con quella natura doveva integrarsi e coesistere, senza violarla. Nacque così nel deserto la più grande città utopica mai realizzata, disegnata con il presupposto che poveri e ricchi potessero vivervi insieme annullando le distanze ed i confini che da sempre e così fortemente nel Brasile li avevano tenuti separati.

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Col passare del tempo, Niemeyer vide che a Brasilia, il suo intento, che consisteva nella condivisione degli spazi abitativi (alloggi dei lavoratori e uffici governativi erano contigui e progettati allo stesso modo)  fu presto disatteso dalle successive politiche urbanistiche. Chissà se nacque da lì la sfiducia, nell’uomo e nel mondo. Senza mai abbandonare i suoi ideali, finì per ammettere che neanche l’architettura può molto. “Quando mi ordinano il progetto di un edificio pubblico” ammise molti anni dopo” cerco di farlo il più bello possibile, differente, che susciti sorpresa. Perchè so bene che i più poveri non avranno modo di approfittarne, ma perlomeno potranno fermarsi a guardarlo, e voglio dar loro un attimo di piacere, di sorpresa. Questo è un modo in cui l’architettura può rendersi utile”.

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Lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano paragona la sua architettura ad un’opera divina: “Si sa che Oscar Niemeyer odia il capitalismo e odia l’angolo retto. Contro l’angolo retto, che offende lo spazio, ha creato un’architettura lieve come le nuvole, libera, sensuale, simile ai paesaggi delle montagne di Rio de Janeiro, montagne che sembrano corpi di donne sdraiate, disegnate da Dio in un giorno che Dio pensava di essere Niemeyer“. L’architetto stesso, pur provenendo da una famiglia e da un’educazione cattolica, non credeva in Dio. E non credeva neanche negli uomini. Ma credeva in quello in cui tutti i grandi artisti hanno creduto: nel fatto che solo la bellezza può salvare il mondo. E l’architettura, per avere un senso, deve prima di tutto essere la prova di questa bellezza. “L’inaspettato, l’irregolare, la sorpresa, il meraviglioso” disse nel discorso di ringraziamento dopo aver ricevuto il Premio Pritzker per l’architettura nel 1988 “sono parte essenziale e caratteristica della bellezza. E questo è quel che io ho da dire sull’architettura“.

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Così lo ricordava il presidente Lula cinque anni fa: “Nel momento di compiere 100 anni di un’esistenza ricca e produttiva, Niemeyer offre al Brasile e al mondo, oltre a un’opera architettonica di bellezza ineguagliabile, una sincera lezione di umanesimo, di amore e di solidarietà verso il prossimo. Più ancora delle sue opere – Brasilia, Pampulha, Ibirapuera, il Museo di Arte Contemporanea di Niteròi, i nuovi progetti come il Centro Culturale di Avila in Spagna – egli rappresenta l’esempio monumentale dell’artista che mai si contaminò con il lusso, il potere e la gloria, che si è levato contro tutti i tipi di ingiustizia e disuguaglianza e che ama, sopra ogni cosa, il popolo del suo paese”.

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E anche per Niemeyer stesso, più delle opere, quello che contava veramente era altro: “Per me l’architettura non è la cosa più importante. Importanti sono la famiglia, gli amici e questo mondo ingiusto che dobbiamo cambiare“.

Addio, ancora, ad uno degli uomini che hanno cercato di cambiare il mondo.

E che ci è riuscito, rendendolo un pò più bello.

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DOCUMENTARIO (link): Oscar Niemeyer – A vida e um sopro

8 commenti

  1. Non lo conoscevo questo artista. Ammetto, anzi, di essere totalmente ignorante in materia architettonica. Ho iniziato ad apprezzare l’architettura, assieme al design, solo in tempi molto recenti e questo tuo articolo è stato estremamente interessante. Ogni cosa può diventare espressione dell’uomo, estrapola ciò che siamo. E poi è magnifica la frase “la vita è un soffio”!

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