Ne parlavamo qualche tempo fa. Scorrendo alcuni profili sui social network, o leggendo alcuni cossiddetti travel-blog sembra che per molti il viaggio rappresenti soprattutto un’ostentazione. Molta voglia di mostrare e di mostrarsi, poca voglia di capire e di capirsi. E tante, troppe foto. Tutte stereotipate, tutte uguali. Abbiamo davvero bisogno di raccontare qualcosa o la fotografia di viaggio è diventata solo un’inflazionato strumento autoreferenziale? C’è ancora qualcosa che vale la pena di vedere in un mondo in cui tutti abbiamo già visto tutto? E’ molto difficile rispondere. Ma se la nausea vi assale, che siate fotografi o no, viaggiatori o meno, c’è un rimedio. Si chiama Foto dal finestrino, ed è una raccolta di ventotto istantanee raccontate attraverso l’occhio e le parole di Ettore Sottsass (1917-2007) designer e architetto, ma anche fotografo, pittore, scrittore e per molti versi filosofo.
Foto dal finestrino era il titolo di una fortunata rubrica della rivista Domus dal 2003 al 2006. Nel 2009, da un’idea di Stefano Boeri, è nata questa raccolta, pubblicata da Adelphi nella collana Biblioteca minima. Questo piccolo volume, modesto nella veste editoriale, ma prezioso nei contenuti, ci permette di intraprendere assieme al maestro Sottsass un viaggio reale e metaforico, in cui la fotografia, non ancora intaccata dal tono autocelebrativo e stereotipato della fotografia di viaggio contemporanea, è uno sguardo prezioso su “un mondo nascosto, che nessun altro ha saputo vedere“. Uno sguardo che aiuta a capire e a dare un senso. Uno sguardo accompagnato da acute, ironiche, profonde e toccanti annotazioni, lampi di consapevolezza che gettano luce sulla missione ancestrale dell’arte e dell’architettura, e assieme ad essa – imprescindibile da essa – sul senso profondo dell’esistenza umana.
Ho acquistato questo libricino alla Triennale di Milano alcuni anni fa. L’ho letto in una ventina di minuti. Ma tante, tante volte. Vi regalo tre foto e tre riflessioni – scelte tra le tante – certa che la lettura sarà piacevole; fiduciosa nel fatto che, nelle nostre prossime foto dal finestrino, qualche volta ci ricorderemo di questi scatti e di queste parole.
“Quando viaggio in posti lontani vado quasi sempre a vedere i cimiteri. Per salutare i morti che non conosco.
I cimiteri sono disegnati dai vivi per proteggere i morti ma anche per proteggere in qualche modo sé stessi dalla grande oscurità. (…)
Sulla strada dal mare a Merida, vicino a Hoctum, nello Yucatan, ho visto un piccolo cimitero di campagna. Sembrava una città felice, la città dei morti felici. In quel posto i vivi hanno disegnato per i loro morti la città che loro, i vivi, immaginano e non hanno mai avuto. Una città con belle case grandi e piccole di tutti i colori, alte e basse, forse una altissima come l’empire State Building. tutte protette da tante croci, tutte protette da qualche santo o angelo amico o da qualche portafortuna fatto in casa. Tutte decorate con fiori, forse dipinti dalla moglie. Tutte per una vita migliore nell’aldilà.
I vivi non hanno consegnato ai loro morti l’abituale paura di qualche tribunale implacabile. Hanno consegnato la speranza di una città felice, una città che i vivi non hanno mai conosciuto.”
Hoctum, Mexico 1979
“Abbastanza raramente mi incontro con l’architettura.
Molto spesso mi incontro con l’edilizia, con milioni di metri cubi di stanze tutte uguali, con una porta e una finestra, ammassate in grandi mucchi che arrivano anche a ottanta metri di altezza e certe volte anche a cento e forse a cento e cinquanta metri. Non so bene. (…)
Qualche volta mi incontro con sculture enormi, un po’ come le sculture di Antoine Pevsner ma enormi, grandi come case e qualche volta mi incontro anche con «Acrobatiche opere di ingegneria». Così le chiamano.
Abbastanza raramente mi incontro con l’architettura, quella che prova ad avvolgere con cura il mio corpo e la mia molto fragile anima.”
Khuri, deserto del Tar
“Sono sicuro, sicurissimo che c’è un paradiso di prati infiniti per le erbe solitarie.”
Milano, via Broletto
Post acuto e intelligente.
Ottima scelta d’argomento, e gran finale con quel bianco nero (la colonna) strepitoso, il contrasto tra enorme pietra pretenziosa imperiale con la minuscola umile pianticella. La didascalia poi mi ha divertito da matti.
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Già! L’immagine del paradiso di prati infiniti per le erbe solitarie è fantastica 😉
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Vero, per la mia seconda (ex) moglie il viaggio è sempre (stato) un’ostentazione. Per me è curiosità
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E’ così (un’ostentazione) per molti. Spero di non fare mai parte della folta schiera! 😉
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Bellisimo post. Mi hai solleticato la curiosità verso questo testo da te menzionato….
Io quando viaggio mo “guardare” ciò che mi circonda chi abita quei luoghi. faccio foto ma solo per ricordare sensazioni (magari per quando sarò più vecchia). Alcune foto che posto, sul blog, delle mie vacanze, non sono neanche la minima parte di ciò che riporto. E quelle non le mostrerò mai. Sono l’anima del viaggio.
Bacio.
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Ti consiglio qualsiasi cosa di Sottsass, anche se, non essendo stato propriamente uno scrittore, quello che si trova in giro sono perlopiù raccolte e citazioni. Io ho salvato le mie preferite in una sorta di libricino in formato Word che ho autopubblicato ed autorilegato in modo casalingo. ^_^ Esiste però la stupenda autobiografia-testamento intitolata Scritto di notte, pubblicata sempre da Adelphi.
Anch’io credo che le cose più belle ed importanti siano da mantenere per sé stessi. C’è un limite nel pubblicabile e nel condivisibile. E’ importante scegliere con cura cosa mostrare e, appunto, dare un senso a questa scelta.
“Con tutte queste bugie non ho salvato niente. Forse ho massacrato tutto, un po’ alla volta. Sono cambiato anch’io. Mi accorgo che dentro custodisco pensieri, azioni e reazioni che conosco soltanto io, e so di esistere da solo, per me stesso e non per echi che mi vengono dall’esterno. È un’esperienza che non ho mai conosciuto”.
(E. Sottsass, Scritto di notte)
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A volte me lo chiedo anch’io cosa spinge le persone a fotografare tutto a raffica come se guardare il mondo attraverso la lente di una macchina fotografica (sempre più spesso quella del cellulare) fosse ormai l’unico modo possibile. Al museo vedo tante, tantissime persone fotografare gli oggetti senza vederli, senza vederli DAVVERO dico. Arrivano, fotografano e vanno via, anziosi di condividerle quanto si stanno divertendo sui sicial media, senza degnare il vero capolavoro di un secondo sguardo. Tutto questo mi rattrista molto…
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Molto interessante 🙂
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Mi fa molto piacere! Ci tengo particolarmente a far conoscere Sottsass, per me è un grande punto di riferimento ^_^
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@Paola, sono molto d’accordo, noto infatti spesso anch’io questa cosa che mi lascia perplessa oltre ogni misura. Eppure c’è anche di peggio. Pensa a quelli che si scattano 80 selfie al giorno e poi li pubblicano. 80 foto della propria faccia. Tutte uguali. Tutte ugualmente inutili. Lo trovo terrificante.
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L’altro giorno al museo una ragazza e’ quasi caduta da una scalinata sotto i miei occhi mentre cercava di farsi un selfie… Mah… E comunque quando torno a Bologna mi compro il libretto di Ettore Sottsass… 🙂
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Ahaha mi hai ricordato quando a 6-1-0 su Radio 2 facevano questi collegamenti con i “campionati di selfie estremo”, dove la gente moriva sempre mentre si faceva il selfie XD che sarebbe un’ottima selezione naturale tralaltro XD
Il libricino è carinissimo, come ho detto lo leggi in 20 minuti e anche meno, però ti ci affezioni 🙂
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Fotografie di viaggio raccontate con gli occhi della meraviglia!
Buon Natale!
Ciao
Sid
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Grazie! Tantissimi auguri anche a te! ^_^
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Ciao. Vale la pena?
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Il libro dici? Sono 9 euro (almeno questo è il prezzo di copertina) per una lettura di 20 minuti. Quindi dipende. E’ come spenderne 12 per un singolo dei Metallica… 😉 Vale la pena se ti fa piacere averlo… Non mi sento di consigliarne l’acquisto anche se ci tenevo molto a condividerne il messaggio. Grazie per avermi dato la possibilità di questo chiarimento.
Carissimi auguri!
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