La poesia è per sua stessa natura universale. Il suo messaggio trascende il tempo e lo spazio, ed il suo unico vero confine, quello linguistico, si può facilmente scavalcare o abilmente eludere. La stella di Rio Bo – se i nostri maestri ebbero l’accortezza di raccontarci la fiaba/poesia del paesino dai tetti aguzzi e del suo cipresso – è stata la stella che abbiamo cercato sopra a tutti i nostri paesi quando eravamo bambini. Più tardi, avremo probabilmente letto della siepe di Recanati, e avremo forse immaginato anche noi che l’alto e misterioso recinto di qualche giardino nascondesse un infinito reale e metaforico dietro di esso. O forse, non è così improbabile che anche le porte della notte contro cui si appoggiavano i giovani innamorati di Prévert ci abbiano talvolta ricordato da vicino i muri delle strade della nostra adolescenza.
Allo stesso tempo però, pur nella sua universalità, la poesia nasce da un tempo e da uno spazio precisi, e scoprire quel tempo e quello spazio, riconoscerli, ritrovarli o anche solo immaginarli, è pur sempre emozionante. Esistono tanti luoghi, suppongo, dove questo è possibile. Uno di questi si trova ad un paio di chilometri da Gorizia, sul versante isontino del Carso: è il Parco Ungaretti.
Dedicato al poeta soldato che proprio vicino a quei luoghi, sul Carso, durante la prima guerra mondiale, ha scritto alcune delle liriche più profonde e significative della poesia moderna. Nato ad Alessandria d’Egitto da genitori toscani, trasferitosi poi a Parigi, dove è entrato in contatto con i maggiori intellettuali dell’epoca, arruolatosi come volontario durante la prima guerra mondiale, Ungaretti è stato, con i versi che annotava su un taccuino durante le ore di tregua, uno dei testimoni più forti dell’orrore della guerra. Veglia è la testimonianza di quell’esperienza devastante:
Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita. (Cima Quattro, 23 dicembre 1915) .Ungaretti lo abbiamo amato tutti da studenti, perchè il suo ermetismo lo faceva sembrare “facile”, un pò come la Valle d’Aosta e il Molise. Da queste parti poi, c’è sempre stato un pò d’orgoglio nel leggere il nome del proprio paesino, altrimenti sconosciuto al mondo, accanto ad una poesia così importante: Mariano, Santa Maria la Longa, Versa, Campolongo o Devetachi. Tra tutti i paesi, San Martino del Carso ha avuto anche il triste onore di dare il titolo ad una delle poesie più toccanti:
Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel mio cuore nessuna croce manca E’ il mio cuore il paese più straziato. (Valloncello dell’Albero Isolato, 27 agosto 1916)Curato dall’associazione Amici di Castelnuovo, il Parco è stato progettato dall’architetto Paolo Bornello, e si snoda attorno alla Villa della Torre Hohenlohe, sul Carso Goriziano, conducendo il visitatore a tre zone: la Torre, il Recinto Sacro ed il Sacrario. Su queste aree si trovano alcune installazioni realizzate con materiali poveri come la pietra, il legno ed il ferro. Lungo il percorso 10 tra le più significative liriche di Ungaretti avvicinano il visitatore ad una inevitabile riflessione sulla cruda realtà della guerra, e più in generale sulla più profonda essenza della vita e della morte. La meravigliosa lirica “I fiumi” è riportata su un pannello di plexiglass dietro al quale si può ammirare la valle dell’Isonzo:
Il Parco Ungaretti è uno splendido esempio di fusione tra cultura e territorio. Almeno in teoria. La maggior parte dei miei conoscenti, tutti residenti nell’arco di pochi km dal parco, non l’hanno mai visitato. La maggior parte a dire il vero non sapeva nemmeno che esistesse. Ci sono stata tre volte, il mese scorso. Ogni volta ero l’unica visitatrice. Con questo non voglio introdurre una polemica sulle occasioni mancate. Il parco resta meraviglioso e toccante. Lo racconto qui, con queste immagini, per chi può o vuole provare ad immaginarlo, pur non dovendo necessariamente visitarlo mai. Infondo è un porto sepolto. Vi si arriva, ad un certo punto, o forse no. Forse si crede soltanto di avvistarlo. E, poi come da ogni porto, si riparte.
Quello che resta, non si può raccontare qui; solo Ungaretti è riuscito a tradurlo in parole.
Quello che resta è un nulla di inesauribile segreto.
Parco Ungaretti: info
Foto di Stella Marega
Su Ungaretti in questo blog vedi anche: I miei fiumi
belle foto, molto la seconda esposta dal basso
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Ti ringrazio moltissimo!
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